I profili lavoristici nella disciplina del terzo settore
di Mauro Petrassi
Per lungo tempo, il “terzo settore” è stato privo di una compiuta disciplina giuridica.
La mancata sistematicità della disciplina e le relative lacune normative che ne scaturivano rendevano non certo agevole l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni speciali dettate in materia.
Senonché, come risaputo, il vuoto normativo è stato colmato con il decreto legislativo n. 117 del 3 luglio 2017, recante il “codice del terzo settore”, con cui il legislatore, “al fine di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118, quarto comma, della Costituzione” (articolo 1) ha provveduto al riordino e alla revisione organica della relativa disciplina.
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La riforma non poteva non riguardare anche la disciplina dell’attività lavorativa che viene prestata all’interno degli enti non profit.
Prima però di soffermarci sui profili lavoristici è opportuno chiarire l’ambito soggettivo di applicazione della relativa disciplina e, dunque, cosa la legge intende per “enti del terzo settore”.
Ai sensi dell’articolo 4, comma 1 del Codice, sono enti del terzo settore “le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”.