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La specializzazione degli avvocati: una storia ancora non finita?

di Roberto Santoro

La storia che qui si vuole raccontare (e che non ha avuto ancora un suo lieto fine) incomincia oltre due decenni fa quando la crisi dei servizi legali cominciava a farsi sentire e il numero degli iscritti agli albi aumentava sempre di più, determinando – con il calo della partecipazione politica e degli iscritti ai partiti tradizionali – che il “partito” degli avvocati diventasse il partito più numeroso presente nel territorio nazionale.

Con il diradarsi degli incarichi e l’aumento dei soggetti destinati ad assumerli (nonché anche sulla spinta di interventi legislativi) si verificava sempre più che avvocati specialisti “di fatto” di un settore ampliassero il loro campo di attività, sconfinando in settori affini; si pensi, in via esemplificativa (in base all’esperienza lavorativa di chi scrive) ad osmosi – in entrambe le direzioni – tra tributaristi e penalisti o tra amministrativisti e laboristi.

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Lo scenario nel quale si inserisce l’argomento qui in esame, è ben descritto nell’articolo “Il processo incompiuto di riforma delle professioni” di G. Conte, nel quale si può leggere che le trasformazioni emerse nel mondo dell’avvocatura “…non si lasciano riassumere in un’univoca parabola descrittiva. Si prestano ad una lettura anfibologica. Basti considerare che, mentre in alcuni ambiti professionali i processi di trasformazione hanno generato crisi identitarie, in altri ambiti professionali essi hanno generato nuove identità.

Il dibattito sull’argomento (sviluppatosi soprattutto all’interno dell’avvocatura e delle sue molteplici associazioni) determinò l’intervento del Consiglio nazionale forense che, nella seduta del 24 settembre 2010, approvò il “regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista”. Il provvedimento, oggetto di ricorso presso il Tar del Lazio, con intervento nel procedimento di parecchie associazioni di avvocati specialisti, fu dichiarato nullo dal giudice adito con la sentenza n. 5151 del 9 giugno 2011 che, in accoglimento del primo motivo di ricorso, accertò la assoluta carenza di attribuzione in capo al Cnf della regolamentazione assunta con l’atto impugnato.