Quando il trasferimento ha un fine punitivo…
di Anna Nicolussi Principe
Il caso
Tizio è dipendente dell’azienda Alfa – che si compone di tre unità produttive dislocate in differenti Regioni del Nord Italia – da ormai tre anni.
Dopo essersi recato sul luogo di lavoro in ritardo per diversi giorni nel corso del mese, causando disagi all’organizzazione aziendale del lavoro, Tizio veniva trasferito presso una diversa unità produttiva, più piccola e distante circa 60 km dall’attuale luogo di lavoro.
All’atto del trasferimento nulla veniva specificato con riferimento alle ragioni poste alla base di tale scelta datoriale.
Tizio rifiutava il trasferimento, mettendosi, tuttavia, a disposizione presso l’originaria sede di lavoro. Ritenendo il lavoratore inadempiente dell’obbligo di esecuzione della prestazione presso la nuova sede di lavoro, l’azienda Alfa licenziava Tizio per giustificato motivo soggettivo.
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L’istituto del trasferimento
Nel caso di specie, il lavoratore Tizio vedeva modificata la sede di svolgimento della prestazione lavorativa da un luogo ad un altro per effetto di un atto di esercizio del potere unilaterale del datore di lavoro. Ciò avveniva, da un punto di vista temporale, a seguito di condotte poste in essere dal lavoratore integranti la violazione dell’obbligo contrattuale di rispettare l’orario di lavoro.
Il datore di lavoro non specificava, tuttavia, le ragioni poste alla base della decisione di trasferire il lavoratore.
Tizio, ritenendo che il mutamento del luogo di lavoro fosse illegittimo, decideva di non ottemperare all’ordine datoriale, mettendosi comunque a disposizione del datore di lavoro nell’originaria sede di lavoro. Tuttavia, il mancato svolgimento della prestazione presso la nuova sede veniva considerato dal datore di lavoro inadempimento tale da giustificare il licenziamento del lavoratore.