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L’androide tra mito e letteratura

di Giuliano Testi – CTS SEAC

 

Il tema del rapporto tra l’uomo e la macchina accompagna l’umanità da millenni. La volontà, il desiderio, il sogno dell’essere umano di ri-creare (attenzione, non creare) la vita, di ri-produrre se stesso con materia artificiale, è da sempre presente nella cultura umana e lo possiamo ritrovare fin dai racconti mitologici. Ovviamente, anche la letteratura moderna non è stata immune dal suo fascino. In questo articolo vi propongo un excursus in materia, per forza di cose breve, affiancando ad opere e miti certamente conosciuti, altre che lo saranno in misura minore.

Talo 
Talo (Τάλως, Tálōs in greco antico) è un personaggio della mitologia greca, il cui mito sembra essere molto antico, venendo nominato per la prima volta da Esiodo intorno al 700 a.c. Si tratta di una sorta di gigantesco automa di bronzo, creato da Efesto per Zeus, invulnerabile perché il suo corpo è alimentato dall’icore, il sangue degli dei. Incaricato da Minosse, re di Creta, di difendere l’isola mettendo in fuga i nemici che tentano di sbarcarvi, ogni giorno ne compie il giro completo armato e pronto a scagliare enormi massi verso il mare, non esitando a buttarsi nel fuoco per raggiungere una temperatura elevatissima e poi schiantarsi sui nemici stritolandoli e bruciandoli. Il gigante di bronzo ritenuto invincibile ha però un punto debole, una zona della caviglia, dove si trova scoperta l’unica vena che contiene il suo sangue. La leggenda vuole che quando la spedizione degli Argonauti arriva sull’isola, il gigante viene dapprima reso pazzo da Medea ed in seguito ucciso dall’argonauta Peante, che trafigge la sua vena con un colpo di freccia (in qualche versione del testo si parla persino dell’utilizzo di un attrezzo per rimuovere un enorme bullone che chiude il suo punto debole). Secondo un’altra versione, il gigante muore per la fuoriuscita del sangue, causata però dall’urto della caviglia contro una roccia. La sua natura meccanica è evidente nel momento della sua sconfitta, descritta nel sesto libro delle “Argonautiche” di Apollonio Rodio.

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Le ancelle d’oro dell’Iliade
Si tratta di automi che ci vengono descritti nel diciottesimo libro dell’Iliade quando, dopo la morte di Patroclo, Teti si reca da Efesto per farsi forgiare nuove armi da dare al figlio. La ninfa arriva alla fucina del fabbro divino e qui nota alcune fanciulle d’oro intente ad aiutare il dio del fuoco nella fabbricazione dello scudo di Achille. Le fanciulle sono in tutto e per tutto simili alle umane, ma possiedono una notevole forza fisica per svolgere lavori pesanti. Inoltre, proprio come dei robot, conoscono tutte le nozioni necessarie allo svolgimento del lavoro nella fucina: “…ancelle d’oro simili in tutto a giovinette vive venivan sorreggendo il lor signore; ché vivo senso chiudon esse in petto, e hanno forza e favella, e in bei lavori instrutte son dagl’immortali Dei.”