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Possono essere lavoratori subordinati anche due soci al 50% di una società, unici componenti del consiglio di amministrazione

Cassazione, 27 gennaio 2022, n. 2487

Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte torna a pronunciarsi sul tema della compatibilità tra la titolarità della carica sociale di amministratore e l’instaurazione, tra la società e la persona fisica che l’amministra, di un autonomo e diverso rapporto di lavoro subordinato dal quale possono derivare obblighi di natura previdenziale e assistenziale.

Nel caso di specie l’Inps agiva in giudizio al fine di ottenere l’accertamento della natura subordinata del vincolo intercorrente tra due soci al 50%, componenti del consiglio di amministrazione e una società a responsabilità limitata. 

Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione ribadisce l’incompatibilità della condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della società esclusivamente con riferimento alla qualifica di amministratore unico della società, attesa l’impossibilità che in questo caso si realizzi un effettivo assoggettamento dello stesso all’altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituiscono i tratti essenziali della subordinazione, necessari per poter qualificare il rapporto come di lavoro subordinato. 

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L’amministratore unico detiene, infatti, il potere esclusivo di esprimere la volontà propria dell’ente sociale, i poteri di direzione, di controllo e di disciplina. In questo modo non verrebbe a crearsi quella relazione intersoggettiva, suscettibile – almeno astrattamente – di una distinzione tra la posizione del soggetto che si immedesima nell’organo direttivo della società e quella del soggetto che esegue personalmente le prestazioni lavorative determinate dallo stesso organo direttivo.