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SEAC

En attendant Godot

di Giuliano Testi – CTS SEAC

Vladimir: “Non ha detto per certo che sarebbe venuto”

Estragon: “E se non viene?”

Vladimir: “Torneremo domani”

Estragon: “E poi dopodomani”

Vladimir: “Forse”

Estragon: “E così via”

Vladimir: “Il punto è …”

Estragon: “Fino al suo arrivo”

Come molti di voi sapranno, En attendant Godot è un’opera teatrale enigmatica di Samuel Beckett, scritta verso la fine degli anni quaranta e pubblicata in lingua francese nel 1952, che esplora il significato e l’insensatezza della vita attraverso la trama e il dialogo ripetitivo che vede due protagonisti, Vladimir ed Estragon, che conversano mentre aspettano sotto un albero qualcuno di nome Godot. Quando giunge uno sconosciuto per avvisare che Godot non verrà quella notte, Vladimir ed Estragon affermano di volersene andare, ma quando cala il sipario i due sono ancora nel medesimo posto.

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Il tempo gioca un ruolo importante, gli stessi eventi si ripetono più volte, ma sebbene i personaggi siano ora coinvolti in un ciclo senza fine, affermano che in passato le cose erano diverse. Nessuno sa se veramente arriverà Godot e quali saranno il suo aspetto e la sua funzione, ed il tema dell’assenza di significato della vita si intreccia con quello del tempo ciclico ed inutile. Molti degli aspetti che ritroviamo in En attendant Godot sono rintracciabili – e purtroppo non è finzione ma drammatica realtà – nella condizione delle persone che ad un certo punto della loro vita si ritrovano senza lavoro. Essere licenziati è certamente un evento traumatico, potenzialmente devastante se avviene in età avanzata o – per essere più mercatocinici – in caso di età anagrafica non più tale da consentire adeguate performance produttive e da garantire l’assenza di impedimenti fisici. In parole molto più semplici, e forse disumane, sei vecchio e non ti vuole più nessuno. Inizia allora una ricerca disperata di una nuova occupazione, ma il tempo passa senza che niente accada, e giorno dopo giorno ripeti la stessa inutile ricerca e attendi una chiamata che non arriva, proprio come fanno Vladimir e Estragon. Le settimane passano, i mesi passano, e se la situazione non migliora in qualche maniera, il ciclico ripetersi di ricerca e di attesa diventa quasi ipnotico. Si diviene man mano trasparenti, ci si isola sempre di più, iniziano i sensi di colpa. È una situazione adatta al teatro dell’assurdo di Beckett, Ionesco o Pinter, uno status dal quale non si esce se non alla condizione di accettare – e non sempre avviene – una qualche occupazione spesso di livello estremamente basso, venendo a patti con soggetti quantomeno poco rispettosi dei contratti. Di tutto questo abbiamo parlato con Edi Lazzi, autore di un libro importante ed emozionante, all’interno del quale dieci donne raccontano storie di difficoltà e sofferenza, di perdita della propria identità e di faticosa riconquista, di dolore fisico e psichico, ma sempre con grande dignità, a testa alta.