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Welfare aziendale: in cosa consiste, come funziona e quali sono i vantaggi per i lavoratori

di Francesca Caresia – CTS SEAC

È in costante crescita, in Italia, la diffusione di piani di welfare aziendali messi a disposizione dei lavoratori per accrescerne il potere di spesa, la salute ed il benessere. Ma in cosa consiste un piano di welfare aziendale, come funziona e quali sono i vantaggi per i lavoratori che ne usufruiscono anche in termini di convenienza ai fini della determinazione del loro reddito imponibile (aspetto, quest’ultimo, che non deve essere trascurato in fase di scelta tra le alternative a disposizione al fine di massimizzare i vantaggi connessi al welfare aziendale)? È principalmente a queste domande che, di seguito, si cercherà di fornire risposta proponendo anche una panoramica delle prestazioni, dei beni e dei servizi che possono essere inclusi in un piano di welfare aziendale. 

In cosa consiste un piano di welfare aziendale?

Nel nostro ordinamento non esiste una nozione legislativa di “welfare aziendale”. Con tale locuzione si fa riferimento, per prassi consolidata, alle iniziative poste in essere dalle aziende a favore dei dipendenti, sulla base di accordi collettivi ovvero per decisione unilaterale, e finalizzate ad accrescere il benessere personale degli stessi lavoratori e dei loro familiari.
Un piano di welfare aziendale può essere visto, dunque, come un insieme di beni e servizi che, da un lato, rispondono a specifici fabbisogni dei lavoratori e, dall’altro, godono in genere di un regime impositivo agevolato sul piano previdenziale e fiscale (sotto il profilo fiscale, le regole di assoggettamento delle prestazioni di welfare aziendale sono dettate dall’articolo 51 del Tuir). Si tratta, pertanto, di uno strumento che consente, allo stesso tempo, di massimizzare il beneficio per il lavoratore e di minimizzare il costo per l’impresa.

A titolo di esempio, possono rientrare in un piano di welfare aziendale la contribuzione aggiuntiva versata alle casse sanitarie ovvero alle forme pensionistiche complementari, i buoni pasto, i servizi di trasporto collettivo e i rimborsi degli abbonamenti al trasporto pubblico, gli oneri di utilità sociale, le spese per istruzione ovvero per assistenza a familiari anziani o non autosufficienti, le polizze di long term e di dread disease, i buoni acquisto, l’auto ad uso promiscuo, i prestiti (compreso il rimborso degli interessi sul mutuo) e gli immobili concessi in uso, l’azionariato diffuso.

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Welfare tradizionale e welfare di produttività: due alternative a disposizione delle aziende

Nella pratica, è possibile identificare due tipologie di welfare aziendale:

  • il welfare cosiddetto “tradizionale”, intendendo per tale quello che prevede l’erogazione di beni e servizi ad integrazione dell’ordinaria retribuzione spettante ai dipendenti;
  • il welfare cosiddetto di “produttività”, fattispecie disciplinata dal legislatore solo di recente, che si caratterizza per il fatto di essere erogato ai lavoratori, per scelta degli stessi, in sostituzione di un premio detassabile.

Nella prima ipotesi (welfare tradizionale), il datore di lavoro si impegna, fin dall’origine, a riconoscere beni e servizi sulla base di un accordo ovvero per iniziativa unilaterale, nella seconda (welfare di produttività), invece, la fruizione dei beni e servizi è frutto della scelta del lavoratore che comporta, da parte sua, la rinuncia ad un premio monetario, scelta effettuata in forza di una specifica previsione contenuta in un accordo collettivo di secondo livello.

Le due tipologie di welfare presentano alcune caratteristiche trasversali comuni.