Big data e risorse umane: i vantaggi dell'innovazione
di Alice Vindimian
“Qualsiasi innovazione tecnologica può essere pericolosa: il fuoco lo è stato fin dal principio, e il linguaggio ancor di più; si può dire che entrambi siano ancora pericolosi al giorno d’oggi, ma nessun uomo potrebbe dirsi tale senza il fuoco e senza la parola”
Isaac Asimov
Immensa, molteplice, immediata, un’enorme mole di dati, generati velocemente dalle fonti più diverse – social network, foto, podcast, video, email, Gps, applicazioni, transazioni commerciali, sondaggi, ecc. – che consente di innovare le realtà imprenditoriali. È l’analista Douglas Laney, nel 2001, ad elaborare il modello delle “3V”, che evidenzia i caratteri essenziali dei big data attraverso tre parole chiave: volume, velocità, varietà.
Per essere analizzati i dati devono superare un processo di selezione, basato su alcune qualità imprescindibili che gli stessi devono possedere, ovvero utilità, legalità ed etica. Infatti, al fine di essere determinanti, gli elementi raccolti devono essere legati al buon funzionamento dell’impresa, rispettare le norme, in particolare quelle in materia di privacy, e i diritti fondamentali dell’uomo, essere validi, affidabili e trasparenti.
Successivamente, per poter acquisire un valore, i dati grezzi devono essere analizzati e trasformati in informazioni il cui utilizzo possa fornire vantaggi all’organizzazione; questa metamorfosi è possibile se alle più avanzate tecnologie si uniscono competenti figure professionali qualificabili come data analyst, le quali organizzano i risultati ottenuti attraverso collegamenti, correlazioni e gerarchie e operano una sorta di “traduzione” degli stessi, che attraverso documenti, tabelle, schemi, grafici, report, li renda comprensibili anche ai non addetti ai lavori.
Una volta che i dati sono stati elaborati possono essere trasformati in vere e proprie opportunità per l’impresa, anche e soprattutto in ambito di risorse umane.
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A livello internazionale la progressiva digitalizzazione ha portato a sviluppare una nuova figura, quella dell’HR analyst, ovvero un professionista con una visione data-driven delle HR, indirizzato a gestire “scientificamente”, ovvero attraverso i dati, il capitale umano, al fine di migliorarne efficacia ed efficienza all’interno dell’azienda.
In questo senso preme evidenziare che la scienza dei dati non sostituisce la componente umana – caratterizzata dall’esperienza professionale e dai valori personali – che rimane essenziale, ma si affianca ad essa: un’unione delle forze per migliorare la strategia di lavoro. Come spesso accade, infatti, l’equilibrio sta in una realtà costituita da più sfaccettature: da un lato i dati, con il loro contenuto tanto più oggettivo quanto più attentamente analizzato e classificato, dall’altro le risorse umane, ovvero i professionisti capaci di valutare in modo critico le informazioni ottenute… due facce della stessa medaglia.
Ma quali sono i vantaggi di un utilizzo ragionato dei big data nelle risorse umane?