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SEAC

Xavier Jacobelli


 
Del calcio italiano..e non solo 

Intervista a Xavier Jacobelli

di Giuliano Testi – CTS SEAC

Dicembre 2021

Quando la redazione di LAW&HR ha deciso di dedicare un numero della rivista al mondo dello sport, ospitando – tra gli altri – un giornalista, non ho avuto la minima esitazione nell’indicare il nome di Xavier Jacobelli, che del giornalismo sportivo – e non solo – è un maestro e si distingue per il proprio livello di preparazione, di competenza e di autorevolezza. A questo devo aggiungere una evidentemente innata signorilità, che lo distingue nel panorama dell’informazione italiana. 

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Direttore, nel mondo dello sport come un po’ in tutto l’apparato pubblico italiano abbiamo sempre incontrato un eccesso di burocrazia e un’ipertrofia amministrativa diffusa. Lei cosa si aspetta dalla tanto attesa riforma dello sport?

Intanto mi aspetto che non leda più l’autonomia del Coni. La riforma dello sport che è stata partorita a suo tempo è stata l’espressione di una volontà di riformare lo sport ma anche di dare l’assalto all’autonomia del Coni, mettendo a repentaglio la posizione internazionale dell’Italia. Si immagini se le quaranta medaglie, in particolare quelle d’oro, conquistate dall’Italia a Tokyo fossero state vissute con la divisa del Comitato olimpico internazionale, con la qualifica di atleti indipendenti, senza l’inno di Mameli e senza il tricolore… questo è stato il rischio che abbiamo corso. D’altra parte, il precedente titolare del dicastero dello sport, nel giorno in cui si è dimesso, ha scritto su Facebook che lui non conosceva il mondo dello sport. Detto questo, a mio parere la riforma dello sport dovrebbe sfrondare il campo soprattutto in alcuni settori, mi riferisco in primis all’impiantistica sportiva. Noi paghiamo un ritardo molto pesante nei confronti di altri paesi: l’Inghilterra, il Portogallo, la Francia e la Spagna, della quale in questi giorni abbiamo ammirato l’anteprima del nuovo stadio Bernabeu di Madrid, che sarà una cosa meravigliosa così come lo è anche il Camp Nou di Barcellona. Antonio Conte quando ha messo piede nel quartier generale del Tottenham è rimasto stupefatto, sia dal centro sportivo sia da quella meraviglia che è il White Hart Lane, il nuovo stadio. In Italia ci sono fortunatamente delle lodevoli eccezioni, mi riferisco allo Stadium della Juventus, ma anche alla Dacia Arena dell’Udinese, al Gewiss Stadium dell’Atalanta, al Benito Stirpe del Frosinone; sono però eccezioni alla regola. Il signor Commisso [proprietario e presidente della Fiorentina], venuto dagli Stati Uniti, che ad oggi ha speso qualcosa come 250 milioni di euro più 80 milioni di euro che ha investito nel Viola Park che sarà pronto l’anno prossimo, da due anni chiede di potersi costruire il suo stadio ma si scontra contro una muraglia politico-burocratico-amministrativa. Sempre rimanendo a Firenze, ricordo che nel 2008 i fratelli Della Valle, allora proprietari della società viola, presentarono il progetto per il nuovo stadio. Mai realizzato. Adesso mi auguro che – anche in collegamento con il Pnrr – ci sia spazio per consentire agli imprenditori privati di portare avanti i loro progetti. Attualmente abbiamo più di un terzo di proprietà straniere nel campionato di Serie A, ma questi imprenditori si scontrano con gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di stadi di proprietà che in realtà non sono solo strutture che vivono una volta ogni due settimane quando gioca la squadra, ma possono essere sfruttati ogni giorno per tutta una serie di iniziative, esattamente come avviene all’estero. Il calcio italiano paga questo ritardo nei confronti dei movimenti calcistici più importanti a livello europeo, lo ripetiamo invano da anni. A prescindere dal colore politico del Palazzo, non sono stati fatti quei passi in avanti che sarebbero stati necessari. 

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