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Contratto a termine illegittimo. Quale risarcimento del danno?

Nota a Cassazione, n. 24960 del 15 settembre 2021

 

Massime

  • In materia d’impiego pubblico contrattualizzato l’utilizzazione di contratti di lavoro flessibile, deve sempre avvenire ex articolo 36, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001, nel rispetto delle procedure di reclutamento di cui al precedente articolo 35. Il principio di diritto secondo il quale, in ipotesi di violazione da parte delle pubbliche amministrazioni di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, non può in ogni caso comportare, ai sensi dell’originario comma 2 (e poi del comma 5) dell’articolo 36 del richiamato decreto legislativo n. 165/2001, la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, non ammette eccezioni e riguarda anche l’ipotesi in cui l’individuazione del lavoratore assunto a termine, o con altre forme di lavoro flessibile, è avvenuta all’esito delle procedure di reclutamento o utilizzando le graduatorie di procedure concorsuali.
  • In materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal decreto legislativo n. 165/2001, articolo 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di giustizia Ue. Da ciò consegue che, mentre va escluso, perché incongruo, il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla legge n. 183/2010, articolo 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo e un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, essendo altresì configurabile un danno da “perdita di chance” di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore.

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La fattispecie concreta 

La Corte d’appello di Lecce, respingendo l’appello principale e incidentale proposti da un Comune e da un suo dipendente, conferma la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato la nullità dei contratti di lavoro a termine intercorsi tra le parti nel periodo tra il 12 dicembre 2002 e il 5 gennaio 2009, aveva rigettato la domanda di conversione a tempo indeterminato di tali rapporti e aveva condannato il Comune al risarcimento del danno in favore del lavoratore, quantificato nella misura corrispondente a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. 

Il ricorso in Cassazione e le questioni sottoposte alla decisione della Suprema Corte

Con un primo motivo, il dipendente comunale, per la violazione o falsa applicazione dell’articolo 36, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, in combinato disposto con la direttiva comunitaria Cee n. 1999/97, assume l’insussistenza di ragioni idonee a differenziare il pubblico impiego dal lavoro privato, sotto il profilo della conversione del rapporto, e rileva che i contratti a termine stipulati con il Comune erano stati stipulati in esito al superamento di pubbliche selezioni.
Con il secondo motivo, per la violazione o falsa applicazione dell’articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001, in combinato disposto con l’articolo 2126 del codice civile, asserisce che il risarcimento del danno avrebbe dovuto essere liquidato in misura pari a tutti gli stipendi maturati dalla data di cessazione del rapporto a quella di effettiva riammissione.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, ossia la mancata valutazione della domanda di riconoscimento del diritto al risarcimento del danno all’immagine e perdita di chance ai sensi dell’articolo 1226 del codice civile.