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SEAC

Elsa Fornero

 
Il coraggio delle idee

Intervista a Elsa Fornero

di Giuliano Testi – CTS SEAC

Maggio 2021

“Per la loro rilevanza, le riforme previdenziali possono essere considerate emblematiche del modo in cui le società democratiche, in particolare quelle europee ad elevato livello di reddito per abitante, recepiscono e gestiscono i profondi cambiamenti demografici, sociali ed economici in atto a livello globale, oppure cercano di ignorarli, con il rischio di pagare in seguito un prezzo più elevato”1. Così inizia un libro che ho trovato estremamente interessante, “Chi ha paura delle riforme”, scritto nel 2018 da Elsa Fornero, colei che ha legato il proprio nome alla riforma pensionistica varata nel 2011, uno dei provvedimenti più noti e certamente più discussi da dieci anni a questa parte. Elsa Fornero, docente universitario di Economia politica presso l’Università di Torino, ha ricoperto diversi incarichi istituzionali a livello nazionale ed internazionale. Dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013 è stata ministra del lavoro e delle politiche sociali, con delega alle pari opportunità, nel governo Monti. Confesso che intervistarla mi incuriosiva molto. Ho avuto modo di scambiare una piacevole conversazione con una persona dotata di gentilezza e chiarezza espositiva fuori dal comune.

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Pensioni, sanità ed assistenza sociale sono spesso al centro delle critiche, però – per dirla tutta – sono anche tra le migliori al mondo. Per quale motivo, il cittadino comune non riesce ad apprezzarne il vero livello? È mancanza di informazione, è cattiva informazione, o altro?

Direi entrambe, mancanza di informazione e anche mancanza di conoscenza dei meccanismi di base del funzionamento dei sistemi di welfare. Poi ci sono aspetti, reali ma spesso ingigantiti, che creano molto risentimento. Parliamo per esempio della sensazione di ingiustizia, diffusa e non ingiustificata in un sistema, come quello previdenziale fortemente differenziato e non sempre trasparente. Però dobbiamo ricordare che, nell’offerta di servizi di welfare, i quali vanno molto al di là della pensione, abbiamo un livello tra i più generosi in Europa, ed essendo l’Europa, sotto il profilo del sistema di protezione sociale, collocata sicuramente ai primi posti nel mondo, si potrebbe parlare di una discrasia tra una realtà che si può leggere nei dati di confronto e la percezione del pubblico, tendenzialmente al di sotto della prima e perciò fonte di insoddisfazione. Ci sono motivi oggettivi e motivi che dipendono da una rappresentazione che punta sempre a enfatizzare ciò che non va, dimenticando ciò che va. In particolare, se guardiamo alla spesa sociale, siamo nella media europea (a un livello – pre-pandemia – di poco meno di un terzo del Pil). Quello che però ci distingue è la netta predominanza della spesa pensionistica nell’ambito della spesa sociale; il che significa che il nostro Paese spende meno per la famiglia, per la tutela della disoccupazione, la formazione professionale e l’assistenza nella ricerca di un’occupazione, per la cura degli anziani, che oggi è molto importante e che riguarda una fascia crescente di popolazione, dato che il numero crescente di anziani bisognosi di cura (essenzialmente affidati, negli anni passati, alle badanti provenienti dall’Europa dell’Est). Aggiungo che nel discorso pubblico l’accento è normalmente posto sui “diritti sociali” negati o insufficienti senza riferimento al fatto che questi diritti non piovono dal cielo, ma sono finanziati attraverso contributi sui redditi da lavoro o attraverso tassazione o ancora con il debito pubblico, che è poi tassazione futura. Anche questo aspetto, ossia guardare di più ai benefici della spesa sociale che non alle fonti di finanziamento e a chi subisce i costi, contribuisce a creare l’impressione un po’ distorta di cui lei ha parlato.